
L'8 marzo lotto per la parità
Contributo della redazione di Articolo 33


Gender Gap, due parole note, un fenomeno che riguarda tutte le donne, dalla nascita alla vecchiaia, che agisce inconsapevolmente per una impostazione di sistema, che parte dalla scuola e arriva fino al mondo del lavoro. Divario di genere, meglio esplicitato, che, nonostante una maggiore consapevolezza, è ancora troppo presente nel mondo del lavoro e che si traduce in minor tasso di occupazione e differenza di inquadramento e salariale. Il gender pay gap, ridottosi tra il 2017 e il 2019, ha ripreso a crescere dal 2022, attestandosi al 10%: da circa 3 mila euro a oltre 14 mila euro in meno a seconda dell’inquadramento, ecco di quanto differiscono gli stipendi delle donne rispetto a quelli dei loro colleghi in Italia (dati Istat). Dati che diventano ancor più significativi se letti congiuntamente a quelli sull’occupazione femminile. In Italia il tasso di occupazione femminile tra i 20 e i 64 anni è pari al 56,5%, mentre quello maschile è del 76%, con un divario di 19,5 punti percentuali e la causa dell’inattività femminile risulta prevalentemente legata a esigenze di carattere familiare: in altre parole il divario di genere si amplia notevolmente in presenza di figli.
Donne e STEM
Oggi nel mondo e in Italia la percentuale di donne laureate e occupate nell’area delle discipline scientifiche è ancora nettamente inferiore a quella degli uomini. L’Italia risulta terzultima in Europa per parità di genere nella ricerca: nelle discipline STEM (Science, technology, engineering and mathematics), solo il 41,4% dei laureati è donna, contro il 58,6% di uomini. La disparità è particolarmente evidente nei corsi di Informatica, ICT e Ingegneria industriale e dell’informazione, dove la presenza maschile supera i due terzi. «Esistono ancora delle barriere culturali, una sfiducia nelle capacità femminili di misurarsi con algoritmi, formule, equazioni, che genera anche forme di autoesclusione. Forse ci si immagina ancora la figura dello scienziato chiuso nel laboratorio, difeso dagli impegni familiari da una moglie devota… E qui tornano gli stereotipi e i luoghi comuni. Resta il fatto che la nostra società non è a misura di donna, basti pensare alla difficoltà di conciliare i tempi di vita e di lavoro e il peso del lavoro di cura, alcune delle ragioni, probabilmente, anche del calo delle nascite, insieme soprattutto alla questione occupazionale La tecnologia dovrebbe liberare gli umani da ritmi lavorativi stressanti e consegnare loro più tempo per se stessi, invece succede che il sindacato debba battersi affinché i lavoratori abbiano diritto alla disconnessione, mentre il part time, “scelto” soprattutto dalle donne, diventa una sorta di ghetto sottopagato e senza possibilità di carriera. Non c’è bisogno di “capitale umano”, ma di cittadini e cittadine colti, critici e consapevoli. Ecco perché una maggiore presenza di donne nelle facoltà scientifiche e il loro ingresso in un mondo del lavoro finora «maschile» potrebbe cambiare i paradigmi dell’organizzazione sociale». (Gianna Fracassi, introduzione a Conoscenda 2025, La scienza invisibile delle donne).
Le magnifiche scienziate
(Intervista di Elisa Spadaro a Gabriella Greison, pubblicata su Conoscenda 2025, La scienza invisibile delle donne).
La rockstar della fisica, così la chiamano. Gabriella Greison è una donna STEM. È infatti una fisica, ma è anche un’attrice di teatro, una scrittrice, una divulgatrice. È una donna che ha deciso di dare voce ad altre donne: ha scritto libri sulle donne nella scienza e porta in giro nei teatri, in televisione, nei podcast la loro storia. Una scelta brillante perché probabilmente uno dei motivi per cui le giovani studentesse di oggi non inseguono il sogno di una carriera nell’ambito delle materie scientifiche è anche a causa della scarsa conoscenza dei modelli femminili ai quali ispirarsi.
Le abbiamo chiesto di raccontarci come è nato il suo sogno, perché ha deciso di studiare proprio la fisica, che tra tutte le materie scientifiche è quella meno scelta dalle donne, e che barriere ha dovuto superare per arrivare dove è adesso.
Ho iniziato a capire che la fisica sarebbe stata la mia passione nel momento in cui dovevo scegliere che tesina fare alla fine della terza media: ho scelto di portare la costruzione della bomba atomica. Mi incuriosiva tutto di quella storia, mi piaceva capire i meandri più nascosti della natura umana, e tramite la fisica ci riuscivo. Inoltre, la fisica, soprattutto la fisica nucleare e la fisica quantistica, era una materia poco conosciuta, poco frequentata dalle donne, ancora di più quindi è diventata la mia ossessione. È sempre stato nel mio animo quello di voler primeggiare, e così mi sono avventurata da sola nello studio di questa disciplina scientifica. L'ho fatto senza appoggi, senza sostegni, da sola, come ho sempre fatto tutto.
La fisica, dicevamo, la materia più “dura” tra tutte. Athene Donald, una fisica sperimentale presso l'Università di Cambridge, nel suo libro Not Just for the Boys: Why We Need More Women in Science, esamina come storicamente alle donne sia stato impedito di fare scienza, di come siano state culturalmente e fisicamente escluse dallo studio delle discipline scientifiche. In un’intervista ha dichiarato «quando qualcuno mi dice che forse alle ragazze semplicemente non piace la fisica io rispondo che no, è che culturalmente non rendiamo molto facile loro piacere la fisica». Cosa pensa di questo?
Duemila anni di storia hanno impedito alle donne di approfondire materie considerate dure, e duemila anni di storia hanno negato loro i riflettori. Questo vuol dire che la fisica, considerata la scienza più dura, è sempre stata nelle mani di uomini: uomini la facevano, uomini la sperimentavano, uomini la raccontavano. Ora io vengo riconosciuta come role model, come quella che ha scardinato gli argini, ok, va bene, ma dietro c'è prima di tutto lo studio. Lo studio va fatto per sé stessi. Io prima di tutto studio, poi dopo mi costruisco un palco dove parlare. Per ogni storia che creo faccio esattamente così. E le mie storie attingono sempre da fisica nucleare o quantistica.
Sei donne che hanno cambiato il mondo, La donna della bomba atomica, Storie e vite di superdonne che hanno fatto la scienza: questi sono alcuni dei libri che Gabriella Greison ha dedicato alle donne scienziate nella storia. Ancora il programma tv La teoria di tutte, il podcast Le magnifiche scienziate, e ovviamente tutti gli spettacoli teatrali che ha portato e porta in giro in Italia e in Svizzera (tra l’altro è la prima a portare il Metaverso a teatro): Gabriella ha scelto di dare voce a tutte le donne, quelle che ce l’hanno fatta e quelle che non ce l’hanno fatta. Da dove nasce questo desiderio?
Sì, io racconto storie. E per raccontare storie uso tutto quello che più di moderno c'è. Sono affascinata da ogni cosa nuova, sono incuriosita, vivo tutte le novità con grande trasporto. Ma non da nerd, da studiosa della materia. Tant'è che nulla è veramente nuovo, sto semplicemente vedendo realizzate le cose che ho sempre studiato in teoria. Infatti nell'ambiente siamo euforici di vivere adesso il machine learning e l'intelligenza artificiale. I creatori della fisica quantistica cento anni fa non sono riusciti a vedere tutto quello che hanno creato!
Gli stereotipi sono duri a morire soprattutto quelli di genere. Secondo lei quali sono i pregiudizi che esistono ancora?
Esistono ancora i luoghi comuni, le frasi fatte, queste creano i mostri che poi vengono portati avanti nella testa delle ragazze crescendo, ci vogliono anni per raggiungere la consapevolezza di quella roba instillata piano piano nel corso della vita. Poi c'è la televisione che crea delle mappature cerebrali fortissime da sradicare. Poi c'è il cinema. Tutto di parte.
Alla diffusione di alcuni pregiudizi, tra l’altro totalmente astratti e privi di fondamento, contribuisce anche il mondo dell'entertainment. Nel cinema, ad esempio, ancora oggi i ruoli di ingegneri, scienziati e matematici sono interpretati per lo più da uomini, con sette volte più ruoli STEM maschili che femminili. A questo si sta tentando di rimediare: nel 2016, ad esempio, sul grande schermo arriva il film Il diritto di contare che, tra scienza e questioni razziali, racconta delle tre scienziate senza le quali gli Stati Uniti non avrebbero vinto la conquista dello spazio durante la Guerra Fredda. Nel 2023 però arriva Oppenheimer, che vince tredici oscar ma che si dimostra essere l’ennesimo film fatto dagli uomini che racconta le gesta dei soli uomini…
Mi trovavo in America quando erano usciti in sala i film Oppenheimer e Barbie. Per il primo avevo ricevuto l’invito all’anteprima, quindi l’avevo visto prima di tutti, quindi avevo un mio solido e infallibile giudizio (figuratevi che avevo appena finito il viaggio a Los Alamos, Chicago, Princeton, per fare le ricerche per scrivere il mio nuovo libro proprio su quell'argomento), per il secondo no, quindi l’ho visto dopo tutti. Questo delay nella visione di Barbie, ha fatto sí che la mia visione fosse preceduta da molti commenti, commenti di donne entusiaste e commenti di uomini arrabbiati (americani, mi trovavo in America), quello che dicevano questi ultimi si può riassumere in “è un film di propaganda femminista anti-uomini”.
Da donna di scienza, prima di vedere entrambi i film, e con l’ingente battage pubblicitario che li ha preceduti, mi ero fatta una mia idea, e non so perché mi aspettavo di entrare e uscire dal cinema disprezzando Barbie e ammirando Oppenheimer. Dopo la visione di entrambi, la mia idea è stata totalmente capovolta. La visione di Barbie mi ha entusiasmato, e quei commenti americani che avevano definito “anti-uomini” il capolavoro di Greta Gerwig mi sono sembrati molto comici. Quello che invece ho provato, dalla visione di Oppenheimer, è che ancora una volta, e in maniera cosí plateale, era stato fatto un film totalmente anti-donne.
Il fatto veramente eclatante è che Oppenheimer non è diverso dalla maggior parte dei film, dei libri, dei racconti che sono basati su ricostruzioni storiche di fette di scienza (di fisica, in particolare). Perché la maggior parte dei film, dei libri, degli scienziati, dei fisici che raccontano la fisica quantistica, il nucleare, le bombe atomiche, e addirittura la Seconda Guerra Mondiale in generale, sono contro le donne, e sono fatti da uomini che raccontano esclusivamente le gesta di altri uomini.
Siamo abituati, siamo desensibilizzati, e quindi nessuno ha detto quello che sto dicendo io, perché per decenni abbiamo visto solo donne al cinema che esistono solo per dare agli importanti protagonisti maschili qualcosa con cui svagarsi. Dopo decenni di film realizzati cosí, ne arriva un altro cosí, quindi nessuno se ne accorge. Anzi, ottiene 13 candidature agli Oscar. Ma mentre Barbie ha oscurato e messo da parte personaggi maschili di gomma, Ken su tutti, un film anti-donne come Oppenheimer, ha messo da parte e cancellato completamente donne molto reali, in carne e ossa, che hanno vissuto vite intere e hanno dato un contributo significativo alla fisica e al nostro mondo.
Quel povero Ken messo da parte dal film su Barbie, non è Leona Woods, che a 23 anni ha giá ottenuto il dottorato in fisica ed è stata assunta a lavorare al progetto Manhattan, perchè ritenuta un asso nella rilevazione delle particelle nel vuoto con il trifluoruro di boro. Ken, a differenza di Leona, non era presente alla prima reazione nucleare a catena, e Ken non fece quello che fece Leona, ovvero passare anni interi della sua vita sulla costruzione della pila atomica, divisa tra Hanford, Chicago, l’Argonna Foresta e appunto Los Alamos. Leona Woods non compare in Oppenheimer, ma il film, come tanti film anti-donne, riesce ad assumere una tale aria di autorità a farci supporre che la sua sorprendente mancanza di rappresentanza femminile sia dovuta al suo ammirevole impegno per l'accuratezza storica (ricordate chi da noi per primo ha commentato il film sui giornali e in televisione, e tutti gli hanno dato ampio spazio? fortunatamente qualche programma subito dopo si è anche ricordato di me, come voce autorevole sull’argomento, e mi ha intervistato). A Leona Woods ho dedicato il mio ultimo libro, "La donna della bomba atomica", Mondadori.
Noi dobbiamo e dovremmo pretendere che un film del genere rappresenti in modo accurato ed equo le scienziate che erano proprio lì, insieme a Oppenheimer e ai suoi uomini, a garantire il successo del Progetto Manhattan. Nel film la prima donna parla dopo 35 minuti dall'inizio della visione, ed era una cameriera. Le altre che compaiono sono tutte mogli, amanti o in secondo piano e sfocate dietro agli uomini. Forse sarebbe stato appropriato se gli spettatori avessero lasciato la visione delle tre ore di film sapendo che Kitty Oppenheimer non si limitava a bere fino a ubriacarsi mentre si prendeva cura dei bambini, ma era anche una botanica qualificata che lavorava a Los Alamos per prelevare il sangue e testare i livelli di esposizione alle radiazioni dei suoi colleghi.
Qualche mese fa ha consegnato al Politecnico di Zurigo la domanda di attribuzione di una laurea postuma a Mileva Maric. Una donna che, ci teniamo a sottolinearlo, è stata molto di più della prima moglie di Einsten. Le va di raccontare ai nostri lettori la sua storia?
Certo, questa è una storia che sento molto mia, la mia battaglia numero uno. Mileva Maric è la prima moglie di Albert Einstein, fisica, sognatrice, con una mentalità scientifica eccezionale (per questo lui si è innamorato di lei). Avevano frequentato insieme il Politecnico di Zurigo, e preparato gli esami universitari. Quelli erano i primi anni del XX Secolo e alle donne non era permesso realizzarsi nella professione di scienziata, infatti la società del periodo le ha fatto una guerra durissima. Anche i biografi di Albert Einstein hanno fatto lo stesso. Alla luce delle nostre consapevolezze di oggi, la sua storia (a prescindere da quella di Einstein, che rimane intatta) andava riscritta. Ed è stata una mia necessità primaria darle un lieto fine. Per questo ho proposto all’ETH di attribuire una laurea postuma a Mileva Maric, come simbolo, come segnale, come speranza per le nuove generazioni, affinché credano che oggi possono realizzarsi come vogliono nella loro professione, a prescindere dal sesso, dalla religione, dalle amicizie, dalla società.
Purtroppo oggi, la maggior parte delle volte che mi intervistano su Mileva Maric, fanno un errore madornale: chi fa i titoli, se il contenuto è questa storia, scrivono cose ad effetto tipo ‘è lei la madre della relatività’, oppure ‘Einstein imbroglione’ o ‘la mente dietro Albert Einstein’, e altre cose sbagliatissime così. Sono frasi che colpiscono senz’altro, ma non è affatto quello che racconto io. Anche perché le mie ricerche non erano certo volte a screditare Albert Einstein, o a capire cosa ha scritto Mileva Maric sulla relatività. Il discorso che faccio io è ben più complesso. E racconta la società del periodo, e un posto (la Svizzera), così come quelli confinanti (ad esempio la Germania), coacervo del potere maschilista, secondo cui una donna, studiosa di fisica, non poteva praticare la professione, ma doveva solo badare ai figli, alla famiglia e ai malati in casa.
Ed eccomi all’aggiornamento: c’è stato un cambio al vertice dell’ETH nelle settimane scorse, il nuovo rettore è il prof. Gunther Dissetori (che prende il posto di Sarah Springman). Come sapete, in ogni posto dove cambiano i vertici, succedono cose nuove e diverse dalle precedenti. La mia proposta di attribuzione di una laurea postuma a Mileva Maric risale a Maggio 2019, e tutto l’iter che ha fatto quella proposta lo conosciamo e così ne ho formalizzata un’altra. O meglio, l’abbiamo formalizzata. Sì, perché nel corso del tempo si sono unite alla mia voce quelle di tante altre scienziate, e in particolare una mi ha aiutato, e abbiamo rifatto la proposta, con la nuova idea di attribuire la laurea postuma anche ad altri nomi di donna a cui l’ETH ha proibito la laurea. Esattamente come è stato fatto in Scozia, in una notizia recente di attribuzione di laurea postuma alle prime donne che avevano iniziato un percorso scientifico e la società scientifica del periodo le aveva ostacolate. Con questa nuova proposta, ora non si potrà più sbagliare a fare i titoli: la laurea postuma a Mileva Maric NON è qualcosa di personale contro Albert Einstein.
Le cose stanno lentamente stanno cambiando. Lo ha detto lei affermando che «oggi se una ragazza è secchiona non è più una sfigata, al contrario» e mentre lo diceva ha fatto un esempio illuminante: ha citato Hermione Grenger, l’amica del celebre mago Harry Potter, una ragazza brillante che si è fatta praticamente da sola, che tutto quello che sa lo ha imparato dai libri e che non a caso è, a tutti gli effetti, il personaggio più amato della famosissima saga. Le ragazze cominciano a capire che possono prendersi quello che vogliono? Cosa vuole dire alle studentesse di oggi?
Che posso fare e diventare tutto quello che vogliono.