
La didattica a distanza, strumento d’emergenza, non può sostituire il rapporto educativo
Con la pubblicazione del DPCM del 4 marzo 2020 si sospendono le attività didattiche e si invitano le scuole a predisporre “modalità di didattica a distanza”.


Il DPCM del 4 marzo 2020 ha sancito una situazione d’emergenza non più circoscritta ad alcune parti del Paese ed ha rappresentato la necessità primaria di evitare la diffusione del contagio da COVID-19. Pertanto, la priorità di sospendere le lezioni si è concretizzata in un provvedimento improvviso, che ha raggiunto tutte le scuole italiane.
Lo stesso DPCM suggerisce “la possibilità di svolgimento di attività formative a distanza” (articolo 1, comma 1, lett. d), e immediatamente, alcuni commentatori ed esperti di varia natura indicano nella didattica a distanza la nuova frontiera della pedagogia.
È importante sottolineare che le modalità pedagogico didattiche, che attengono alla libertà di insegnamento, sono scelte dettate principalmente dalla specificità del rapporto docente discente, dalla varietà e dalla complessità dei contesti, dallo stile educativo e dalle scelte collegiali delle scuole.
La tecnologia informatica, l’uso di piattaforme, l’interazione digitale, come ogni altro strumento, non sono, per sé stessi, né buoni né cattivi; la loro valenza dipende da come e con quale consapevolezza vengono utilizzati, ferma la premessa che l’insegnare è prioritariamente relazione. Una relazione che, intendiamo sottolinearlo, in quanto nucleo essenziale della professionalità docente, non può essere sostituita da un rapporto a distanza.
Non mancano nel nostro Paese significative esperienze di utilizzo delle nuove tecnologie, frutto di notevole competenza di alcuni docenti, ma si tratta di un utilizzo che non è totalmente separato dal rapporto in presenza e dalla relazione educativa, che, è bene ribadirlo, si inserisce in un più ampio contesto formativo, capace di mettere in collegamento gli studenti tra loro e con gli insegnanti, in un complesso contesto di connessioni, attivate all’interno di quella comunità educante che è la scuola.
Certamente, i divari territoriali ancora una volta segnano il discrimine tra avanzate strumentazioni in uso agli studenti e mancanza di infrastrutture basilari come i trasporti e il servizio mensa. È forse opportuno chiedersi se questa emergenza, anziché aprire spazi (anche di mercato) alla didattica a distanza, non sia l’occasione, attraverso un piano nazionale e strutturale, di predisporre dotazioni informatiche disponibili per gli studenti di tutte le regioni d’Italia, abbandonando velleità autonomistiche per offrire strumenti in più a chi ne ha di meno.
Come capita spesso, ancora una volta i docenti italiani, collettivamente attraverso scelte collegiali responsabili, si metteranno in gioco e, di fronte a questa inaspettata circostanza ne comprenderanno l’emergenzialità e troveranno il modo, con strumentazioni innovative o con canali tradizionali, di tenere contatti formativi con i propri studenti (non tutti dotati di tablet e connessioni a Internet).
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