
Riforma disastrosa per i giovani
Di seguito l’articolo di Enrico Panini pubblicato nell’inserto Azienda Scuola del quotidiano Italia Oggi del 25 maggio.


Di seguito l’articolo di Enrico Panini pubblicato nell’inserto Azienda Scuola del quotidiano Italia Oggi del 25 maggio.
Roma, 26 maggio
In un periodo nel quale le scuole stanno avviandosi alla conclusione della loro attività ecco che il Consiglio dei Ministri approva, dopo lunghi tracheggiamenti ministeriali, l’ipotesi di schema di Decreto legislativo sul diritto-dovere. Nel frattempo nulla è dato sapere su quale sarà l’assetto della scuola secondaria; che cosa succederà degli attuali indirizzi; quale sarà l’orario settimanale; quali le ore di attività opzionali; quale fine faranno i professionali. Tutte domande che legittimamente si accavallano nella mente di ognuno e che sono state poste formalmente dalle organizzazioni confederali in alcuni incontri. Ma, mentre non arrivano risposte, escono provvedimenti “pesanti” dal punto di vista delle implicazioni.
I comunicati del Ministero mascherano gli effetti delle decisioni e fanno propaganda quando scrivono "Tutti a scuola fino a 18 anni", "Aumenta di tre anni (da nove a dodici) l’obbligo scolastico".Infatti, se un lettore leggesse una frase del tipo “Dall’obbligo di pagare le tasse al diritto-dovere di farlo. Aumenta il gettito fiscale nel Paese” penserebbe che può non pagare le tasse e che l’affermazione sull’aumento del gettito non ha alcuna relazione con la realtà.
La scelta che si intende compiere, cancellare l’obbligo scolastico sostituendolo con il diritto-dovere, ha una forte carica ideologica e costituisce, di fatto, l’arco di volta della privatizzazione dell’istruzione nel nostro Paese.
Ma andiamo con ordine. La forte carica ideologica consiste nella scelta di cancellare una grande conquista democratica che ha coinciso con la garanzia dell’esigibilità del diritto all’istruzione. La previsione dell’obbligo scolastico ha rappresentato un elemento di civiltà, il nostro Paese si è dovuto impegnare per assicurare ai cittadini, senza distinzioni, una durata garantita dell’istruzione in una quantità e qualità considerata sufficiente per consentire ad ognuno di esercitare la cittadinanza. Si è così aperta la strada, pur con difficoltà, ad una grande alfabetizzazione di massa, milioni di persone si sono avvicinate all’istruzione anche se la loro convenienza immediata spesso guardava ad altro, cioè all’inserimento nel mondo del lavoro. All’investimento in questa direzione ha corrisposto un generale innalzamento della qualità della vita. Cancellare la previsione contenuta nella nostra Costituzione rimette in discussione quel profilo democratico, rappresenta la base per modelli sociali profondamente divisi e separati. Cancellare l’obbligo scolastico, inoltre, rappresenta l’arco di volta della privatizzazione della nostra scuola perché porta l’istruzione ad essere un bene a domanda individuale. Lo Stato si ritrae e, garantito un minimo di base, il resto è affidato alle scelte individuali. In questo disegno non esistono più i diritti universali o i grandi servizi pubblici garantiti dallo stato come fattore di eguaglianza. Il modello è che tutto si può e si deve comperare.
Concretamente la scelta del Governo comporterà un aumento esponenziale degli abbandoni e dell’accesso al lavoro. Già la riduzione dell’obbligo scolastico di un anno, a seguito dell’approvazione della Legge 53, ha prodotto la fuga di migliaia di giovani dalla scuola. Tutto ciò accade, e accadrà, nelle zone ricche, dove l’economia tira, ma anche in quelle più povere dove la scuola non viene vissuta come un’occasione di mobilità sociale.
La secondaria cambierà volto. L’effetto combinato della scomparsa dell’obbligo e dell’introduzione di un canale duale la condannano a registrare passivamente le differenze in ingresso anziché contribuire a cambiarle e superarle.
La propaganda che confonde, che addirittura capovolge la verità (si toglie l’obbligo e si afferma che si studierà di più), non può nascondere gli effetti devastanti rispetto al paese tutto. Occorre una grande mobilitazione di coscienza, un’impennata civile che impedisca di cancellare un patrimonio che appartiene alla migliore cultura laica e cattolica.
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